Gli strumenti

Il telescopio due
Vedi il telescopio uno

Durante la costruzione di questo strumento, nulla è stato lasciato al caso, naturalmente nell’ambito dell’esperienze fatte. Questa montatura di tipo a culla è molto stabile sia alle normali vibrazioni, che a quelle indotte dal calpestio delle persone intorno al telescopio.

Lavorazione e controlli ottici

Lo strumento in questione è a riflessione in combinazione Schmidt - Newton, con uno specchio primario di 250mm. di diametro aperto a f/5. Visto il buon risultato dello strumento uno, la lavorazione ottica è stata simile ma non uguale. I costruttori di strumenti commerciali, e non solo, usano maggiorare il diametro dello specchietto secondario per sfruttare la parte ben lavorata che è più ridotta rispetto al diametro netto, per l’effetto della sbordatura sbordatura o bordo ribattuto, (che in alcuni casi è marcato) non considerando, o sottovalutando, il maggiore fattore di otturazione e gli effetti negativi che ne conseguono: abbassamento del contrasto, maggior sensibilità alla turbolenza atmosferica e minor definizione.
Nel caso in esame è stato possibile sfruttare appieno il diametro dello specchietto secondario (che è stato montato senza cella), curando in modo particolare la lavorazione ottica, prendendo accorgimenti atti ad evitare qualsiasi degrado del bordo durante la lucidatura. La Fig. 2, relativa al controllo interferometrico a cuneo, parla da sola. La forma ellittica del diagonale (se perfettamente traslato del suo offset, che di regola si applica fino ad aperture maggiori di f/7), vista dallo specchio primario, è un cerchio di rivoluzione intorno al suo asse e per questo la planeità dovrebbe essere perfetta fino al bordo. La lastra correttrice posta a distanza fuoco, è stata lavorata con una forma quasi di quarto grado, in modo da correggere la leggera aberrazione sferica, volutamente lasciata sullo specchio primario, ed anche il residuo di coma del correttore. I controlli sul fronte d’onda sono stati effettuati con un reticolo di diffrazione a contrasto di fase che, in questo caso, avrebbe dovuto avere una frequenza di 165 tratti per millimetro tipico di un’onda convergente aperta a f/5. Si ricorda che questa frequenza è necessaria per avere le tre onde diffratte sovrapposte per metà del loro diametro dove si formano le frange d’ombra. In questo caso, non disponendo di un reticolo di esatta frequenza, ne è stato usato uno con 110 tratti e le onde diffratte sono rimaste troppo sovrapposte rendendo la lettura dell’errore sul fronte d’onda sensibilmente più difficile da valutare (vedi Fig. 3). Con questo accorgimento, che sfrutta il diametro netto del secondario, cosa non semplice da realizzare, l’ostruzione centrale è scesa a 0,22, facendo risalire il contrasto, rispetto a 0,28, anche se questo è un valore di tutto rispetto. A proposito di contrasto, si è sempre letto sulle riviste del settore che gli strumenti a riflessione hanno un contrasto inferiore ai rifrattori. A mio parere questo è vero solo in parte se non sono soddisfatte certe regole. Alcuni strumenti commerciali raggiungono un buon contrasto, avendo le superfici ottiche trattate a strati multipli, ma sono ben lungi, per quanto si dica, da una buona lavorazione ottica e da immagini ben definite. Il fatto è che se per i rifrattori, 1/4 di lambda sul fronte d’onda va bene, non lo è altrettanto per gli strumenti a riflessione. Se da questi ultimi strumenti si pretende la stessa definizione e ugual contrasto dei rifrattori, a parità di diametro la correzione sul fronte d’onda dovrà essere 1/16 di lambda, ovvero 4 volte superiore, che corrisponde ad 1/8 di frangia sull’interferogramma. Per chi è in grado di lavorare le proprie ottiche, ed entrare nei "meandri oscuri" dei controlli interferometrici, le cose sono ben diverse e migliorano notevolmente, anche se occorre molta pazienza e tanto tempo. Ancora oggi alcune ditte garantiscono i loro specchi con un errore di 1/8 di lambda sulla superficie, e chi non ha ben chiara la differenza tra errore sul fronte d'onda ed errore sulla superficie, è indotto a credere di acquistare un prodotto di qualità. In realtà, dato che gli specchi in un telescopio sono almeno due, per cui gli errori delle due superfici si sommano, e la tolleranza di lavorazione scende a 1/4 di lambda, mentre l'errore sul fronte d'onda, che è il risultato finale dell'onda proveniente dai due specchi, scende addirittura a 1/2 di lambda, e l’utilizzatore rimane fortemente deluso.

Accorgimenti meccanici

La crociera
Un’altra differenza riguarda le classiche croci sulle stelle più luminose create dalla diffrazione della luce incidente sui tre o quattro bracci che sostengono il secondario. Questa luce diffratta in parte si diffonde all’interno del tubo abbassando il contrasto già precario per la diffrazione creata dalla parte centrale ostruita (se supera certi limiti). A tale scopo conviene usare sostegni curvilinei di raggio calcolato in funzione del loro numero. Così facendo, la luce diffratta dai bracci è distribuita uniformemente all’interno delle stelle, eliminando i fastidiosi “baffi” di luce che, nonostante ciò, mostrano ancora oggi il loro fascino. Quando i bracci della crociera sono 4, l’arco di circonferenza dovrà sottendere un angolo di 90°, se sono 3 l’angolo sotteso sarà 120°. Il fattore importante è che la somma degli angoli, tanti quanti sono i bracci, sia sempre pari a un angolo giro (360°). Alcuni consigliano che la somma degli angoli possa essere uguale ad un angolo piatto (180°), ma il risultato finale è peggiore, perché la luce diffratta, in parte si distribuisce intorno alle stelle anziché al suo interno, aumentando leggermente il loro diametro. Chi ambisce ad avere stelle molto piccole e a bordo netto sarà bene che prenda in esame la prima soluzione.
Costruendo questi bracci curvilinei, affinché tutta la luce diffratta vada a ricadere sulle stelle, è importante ricordare che la loro lunghezza è determinata dalla “corda”, che dovrà essere esattamente uguale al raggio dello specchio primario, meno il raggio del secondario, o se esiste, della sua cella. Il tratto rimanente per arrivare al tubo che è di raggio maggiore dello specchio primario, può essere rettilineo. Lavorando a f/5 con uno strumento come quello descritto, con una pellicola Kodak Technical Pan 2415 che, stando larghi, può risolvere 10 micron, la profondità di fuoco è di 50 micron per una sorgente di luce posta all’infinito. Il valore di 50 micron deriva dal prodotto della risoluzione della pellicola per l’apertura relativa (10 micron x 5).

Il gruppo fotografico
Le macchine reflex, come tutti sapranno, sono provviste di due guide per far scorrere la pellicola, e due guide più alte dove appoggia il pressore a molla. Il divario tra queste due guide è 3 decimi di millimetro. Quando la macchina è chiusa, durante il trascinamento, la pellicola (che ha uno spessore medio di 1,5 decimi di millimetro) è libera di scorrere fra il pressore a molla e le sue guide e questa libertà di scorrimento non ne garantisce la perfetta planeità. Questi ondeggiamenti della pellicola sono poco sentiti con focali da 50-200 millimetri, anche se molto aperti, dato che le intrinseche aberrazioni residue mascherano l’effetto, ma con focali e correzioni ottiche per uso astronomico, ed aperture spinte, le cose cambiano. Come si è visto sopra, la pellicola si trova casualmente su piani diversi, con una tolleranza di 1,5 decimi. In altri termini 150 micron contro i 50 disponibili per il nostro f/5. Nel caso di strumenti molto più aperti, la profondità di fuoco diventa un fattore veramente critico. Qualcuno può anche sorridere o sorvolare sopravalutando questa pignoleria, ma chi legge dovrebbe sapere che alcune stelle più deboli, di magnitudine prossima a quella limite dello strumento, saranno inevitabilmente perse perché la loro debole luce viene distribuita su un’area maggiore essendo leggermente sfuocate, e verranno “assorbite” dal fondo-cielo. Nel riquadro della foto dello strumento (Fig. 1), si può vedere il gruppo fotografico, autocostruito, completo di correttore di coma, flip-mirror per inquadrare l’oggetto, uscita laterale per l’ ST4 e specchietto interno per la guida fuori asse. Quest’ultimo in grado di ruotare intorno al suo asse e registrabile dall’esterno per centrare la stellina di guida in declinazione. Per ovviare a quanto detto sopra riguardo alla pellicola, che non risulta mai piana nelle comuni reflex, ne è stata costruita una appositamente molto semplificata. In essa la pellicola scorre tra due guide, che sono più alte di quelle delle reflex, ed il pressore a molla è stato calettato fra le guide stesse, ed è comandato dall’esterno. Quando è abbassato preme direttamente sul dorso della pellicola, che a sua volta appoggia lungo tutto il suo perimetro rimanendo perfettamente spianata. Altrimenti sarebbe inutile cercare di ottenere un campo di piena luce otticamente piano, se poi è vanificato da uno scorretto utilizzo della pellicola. Naturalmente dopo la prima posa, ruotando un piccolo pomello posto sul dorso della macchina, il pressore si solleva permettendo lo scorrimento del film per la posa successiva, senza graffiarlo. Questo blocco del fotogramma elimina anche gli spostamenti casuali della pellicola, tipici delle reflex, specialmente in fase di abbassamento della temperatura, se non viene adottato l’accorgimento di mettere in tensione la pellicola, mediante la maniglietta di riavvolgimento, e di bloccarla con un piccolo elastico posto tra la maniglietta stessa ed il corpo macchina. L’otturatore è stato sostituito da un semplice volé, come usava una volta nelle macchine a lastre per determinare il tempo di posa. Non ci sono problemi di vibrazione perché l’apertura è veloce, mentre la posa dura decine di minuti. Il filtro Lumicon a larga banda, da me quasi sempre utilizzato, è stato avvitato sopra una piccola lastra di vetronite, il cui spessore è stato calcolato in 0,8mm., corrispondente esattamente all’allungamento del fuoco del primario quando viene inserito il filtro tra macchina e correttore di coma. Questo accorgimento elimina la necessità di dover rifocheggiare quando si inserisce o si toglie il filtro stesso. Il focheggiamento è un’operazione da fare, a mio avviso, esclusivamente con il metodo della lama di Focault, che è molto efficace se usato nel modo corretto. Alcuni astrofili mi hanno riferito di usare questo metodo con scarsi risultati, ma evidentemente non hanno le idee troppo chiare su quello che si deve vedere adoprando questo test.

Il rivestimento del tubo
Sono stati scritti interi capitoli sui vari metodi per rendere l’interno del tubo il più nero possibile, o più esattamente meno riflettente. Qualcuno suggerisce di adoprare carta assorbente nera, altri preferiscono l’uso di svariate vernici più o meno opache, altri ancora propongono diaframmi interni (che però nei sistemi a riflessione introducono correnti di tubo) qualcuno parla di velluto nero messo “contropelo”, si legge ancora di misure complesse fatte con riflettometri ecc., ecc. A volte con un pizzico di fortuna si può trovare anche una soluzione simile all’ “uovo di Colombo”: rivestendo l’interno del tubo con cartavetrata grana 80, (usata nelle calibratici a nastro per levigare il legno), preventivamente verniciata con bomboletta (nero opaco da marmitte auto, due mani incrociate senza eccedere), si ottiene un nero veramente antiriflesso. Provando ad osservare di giorno all’interno del tubo si rimane sconcertati dalla difficoltà di vedere com’è strutturato; solo il primario appare brillante, il resto è notte fonda, provare per credere. Con questo economico rivestimento il contrasto aumenterà drasticamente, permettendo una visione più incisiva e le stelle risulteranno meno alonate e più nette.

Stazionamento automatico
Il telescopio di cui si parla, non è a postazione fissa come lo strumento1. Ad ogni sessione di lavoro, è necessario percorrere dieci metri per raggiungere la postazione. Allo scopo è stato costruito un transpaller su misura ed è stato motorizzato elettricamente, dato che, nel complesso, si sfiorano i 300 kg. Questo transpaller è costituito da un robusto telaio, che si solleva parallelamente al terreno, appoggiandosi sulle ruote, mediante un martinetto ad olio attraverso un sistema di leve. Tutta la montatura a culla, è ancorata sopra a questo telaio, ed è munita delle correzioni in altezza e in azimut per lo stazionamento, come tutte le montature. Sul terreno erboso, adiacente alla mia abitazione, è stato interrato un plinto di un metro cubo in cemento armato. Il plinto, essendo a filo del terreno, ingloba due binari costruiti con tubi da due pollici di diametro paralleli fra loro e orientati nella direzione nord-sud nel modo più preciso possibile, e “affogati” nel cemento per metà del loro diametro (Fig. 5). Il telaio con le ruote è munito, nella parte sottostante, di quattro piani inclinati: due anteriori e due posteriori. Il transpaller, con tutto il suo carico, si autotrasporta in modo approssimato a cavallo della piattaforma, dopodiché si apre parzialmente la valvola di scarico del martinetto idraulico. Il telescopio si abbassa lentamente fino ad appoggiare. Il primo dei piani inclinati che tocca i tubi che affiorano dal plinto, sposta tutta la struttura a destra o a sinistra, che per gravità assume sempre la stessa esatta posizione. Grazie a questa importante caratteristica, è sufficiente regolare con precisione l’azimut e l’altezza solo in occasione del primo stazionamento. Con questo sistema molto semplice, occorrono 20 secondi per percorrere i 10 metri e lo strumento è già pronto per fotografare, senza bisogno di controllare la postazione.



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